alcuni pregiudizi sulla disabilità
1.Una volta diventati adulti non si impara più…
quel che è fatto è fatto!
Molto spesso si tende a pensare che una volta divenuti adulti ci sia poco margine per apprendere o modificare strutture cognitive. Per questo, una volta entrati nella “disabilità adulta”, gli interventi proposti sono speso di tipo assistenziale o mirano ad occupare la persona. Poco investimento si dedica agli interventi di tipo educativo.
Al contrario la mente non smette mai di svilupparsi e modificarsi, soprattutto se la persona continua ad essere immessa in itinerari agiti e mantiene viva una sua dimensione progettuale. La “dimensione sognante”, intesa come la possibilità della mente umana di tendere ad una meta, ad un proprio progetto, aiuta il pensiero a mantenersi capace di apprendere e di modificarsi, contrastando il rischio di un invecchiamento precoce. La qualità di vita è una meta a cui non si giunge mai. Nel tempo va preservata e costantemente evoluta. E’ un viaggio continuo.
2. ridurre in parti aiuta ad apprendere
frammentare corrisponde a semplificare
Spesso, sia in ambito didattico che per quanto riguarda l’acquisizione di autonomie, si ritiene che l’isolare elementi faciliti l’apprendimento. Scorporare in micro-azioni, micro-contenuti segue la logica dell’apprendimento sommatorio-lineare, un percorso gerarchico e unidirezionale: “dal più semplice al più complesso”. Frammentare, scorporare l’azione complessiva i singoli frammenti di azioni è ritenuto facilitante e, per esempio, prima di usare il denaro è fondamentale sapere fare le 4 operazioni e contare fino a 10, 20 ecc…. “Semplice-facile” contrapposto a “complesso-difficile” propone, di fronte ad una difficoltà di apprendimento, una riduzione in parti più piccole del contenuto.
Al contrario, gli orientamenti de l’emozione di conoscere, propongono un approccio integrato agli apprendimenti. “Infrangete la struttura che connette gli elementi di ciò che si apprendere e distruggerete necessariamente ogni qualità”. Per “struttura che connette” significa il significato che lega tra loro gli elementi. Separare, per esempio, l’uso del denaro dalla sua finalità, dal gestire una cifra, dall’avere la responsabilità di fare degli acquisti, significa puntare ad un apprendimento vuoto, fine a se stesso e per questo difficilmente trasferibile. L’apprendimento diviene potente quando è in situazione, è agito, ha un chiaro fine, quando è carico di significati per sé e per gli altri.
3. La motivazione è alla base dei successi
per apprendere bisogna partire dalla motivazione
Spesso si ritiene che per sostenere gli apprendimenti si debba partire da ciò che piace alla persona, da ciò che la motiva, in quanto è questo che propone desiderio di conoscere. Le motivazioni però non sempre ci sono o è facile individuarle. Altre volte ancora ciò che piace coincide con interessi stereotipati, fissazioni…
Più che una pedagogia delle motivazioni pensiamo sia utile una pedagogia delle competenze finalizzata a creare condizioni per il successo, in quanto è da questo che è più possibile far nascere e coltivare quella motivazione utile all’apprendimento. Le possibilità di successo vanno ricercate in quegli ambiti in cui il bambino, la persona “sa fare”. Sta proprio nel riconoscere il sia pur minimo saper fare, il porre le basi per la “nascita” delle motivazioni e del desiderio di apprendere.
4. Il premio, rinforza l’apprendimento
premiare e punire sono strumenti utili per apprendere
Alcuni orientamento sposano l’idea che per rinforzare un apprendimento vadano premiate le performance adeguate e “punite” quelle non adeguate.
Al contrario gli orientamento de l’emozione di conoscere ritengono che le gratificazioni esterne alimentino il rischio di un apprendimento in cui fare o non fare qualcosa non sia legato alla cosa in sé ma all’ottenimento di un premio. Così come tu mi insegni a fare quello che vuoi in cambio di qualcosa, io imparo che per fare qualsiasi cosa tu mi devi dare qualcosa in cambio. Il sistema di premi/punizioni può essere funzionale in alcuni casi particolarmente complessi, dove occorre agganciare la persona all’interno di un dialogo (si pensi per esempio a casi molto complessi di autismo), ma bisogna fare attenzione ad estendere questo sistema educativo.
“Il soggetto impara perché è il fatto stesso di imparare che lo gratifica, ciò rende inutile il ricorso a ricompense esterne che possono, invece, sortire effetti opposti. Il processo di formazione, si vuol dire, è non solo mezzo, ma anche fine stesso di crescita personale…“[Per una pedagogia delle competenze. F. Sebastiano Liguori Editore 2005]
In educazione il fine non giustifica i mezzi dunque! Premi e punizioni vanno saggiamente meditati, l’effetto che sortiscono è quasi sempre opposto a quello che si vorrebbe ottenere. Col metodo delle punizioni, infatti, la persona deciderà di comportarsi unicamente in base alla possibile reazione dell’altro che potrebbe premiarla o “punirla”.